” Neglette, e quasi molli in ampia massa,
le pietre a Lecce crea l’alma Natura:
ma poiché son rescise, in loro passa
virtute, che le pregia, e che l’indura:
mirabili a vederle, ò se vi si lassa
scelti lavor la dedala scultura,
ò se ne fanno i dorici Architetti
gran frontespitij con superbi aspetti. “
è un procedimento naturale con decenni di comprovato seccesso ed è particolarmente apprezzato da un punto di vista estetico. Il procedimento migliora e ne indurisce la struttura fisica. Originariamente a livello 3 della scala Mohs della durezza dei materiali questo procedimento originale e brevettato ne aumenta il valre sulla scala Mohs. Durezza e resistenza della pietra, una volta estratta, crescono con il passare del tempo, e nella consolidazione la pietra assume una tonalità di colore ambrato simile a quella del miele. Questo naturale processo di ossidazione e di progressivo indurimento, in natura impiega secoli prima che si manifesti.
La Pietra Leccese è una roccia calcarea appartenente al gruppo delle calcareniti marnose e risalente al periodo miocenico. Questo litotipo tipico della regione salentina affiora naturalmente dal terreno e si estrae dal sottosuolo in enormi cave a cielo aperto, profonde fino a cinquanta metri e diffuse su tutto il territorio salentino, in particolare nei comuni di Lecce, Corigliano d’Otranto, Melpignano, Cursi e Maglie. Il leccisu – così chiamato nel dialetto salentino – viene ricavato in forma di parallelepipedi di varia dimensione; l’estrazione è semplice poiché si lascia incidere facilmente.
Il leccisu ha il suo colore tipico dal bianco al giallo paglierino, compatta e di grana fine. Nelle stesse zone è presente un altro litotipo chiamato Carparo. Sin dai tempi antichi il leccisu è utilizzata sia in campo architettonico che scultoreo.
La pietra leccese deve la sua particolare facilità nella lavorazione alla presenza dell’argilla, che permette un buon lavoro di intaglio manuale ed in alcuni casi anche il modellamento al tornio. Il leccisu è molto apprezzata in campo artistico. Fu attraverso la maestria degli scultori e le complesse architetture del Barocco Leccese, che il litotipo raggiunse notorietà e stima a livelli internazionali.
Esempi significativi dell’arte scultorea sono i fregi, i capitelli, i pinnacoli e i rosoni che decorano molti dei palazzi e delle chiese di Lecce, come ad esempio il palazzo dei Celestini e l’adiacente Chiesa di Santa Croce, la Chiesa di Santa Chiara e il Duomo.
Sin dall’antichità, nella Terra d’Otranto sono presenti menhir, dolmen, statue e costruzioni romane fabbricati in leccisu. I suoi primi studi geologici risalgono alla seconda metà del XVI secolo, ma si deve a Gian Battista Brocchi, nel suo studio sulla configurazione geologica salentina (1818), l’identificazione, la prima datazione (fra Secondario e Terziario) e l’origine del nome della pietra leccese. Al suo interno, cavatori e paleontologi hanno rinvenuto fossili rilevanti di cefalopodi, delfini, capodogli, denti di squali, pesci, tartarughe e coccodrilli.

Il Barocco Leccese
La fase più alta nella vita di un’opera è la sua posizione nella storia. Il fascino di un pezzo di pietra varia in rapporto all’emozione che suscita la sua superfice. La superfice di un elemento architettonico, di una statua o di un pavimento è lo spazio che più ha vissuto con l’uomo nel tempo e nelle vicissitudini che si sono susseguite intorno all’uomo e alla superfice stessa. Il reperimento di oggetti antichi originali diventa sempre più difficile, per questo Calò ha messo a punto delle tecniche che toccano le sensazioni dell’anima e rendono le superfici delle proprie pietre superfici con una storia vissuta. Forse una delle peculiarità più alte della produzione di Calò.
Al senso di verosimiglianza si aggiunge un senso di vissuto, che dona alle superfici una patina che non è un imitazione dell’antico, ma diventa una nuova tecnica di resa scultorea. Il dubbio se le opere di Calò siano originali antiche o riproduzioni è ormai un dubbio superato.
Calò non cerca di imitare l’antico, egli adotta le azioni del tempo nel mondo contemporaneo. Il suo compagno di viaggio, di lavoro e di ispirazione è il tempo. Il tempo agisce lento, senza fretta e senza costi e Calò vive il tempo con le sue regole con la sua serenità e con la sua generosità. Il tempo non ha fretta, ha tutto il tempo che vuole perché attinge da se stesso, senza costi e senza spesa. Per questo Calò è divenuto amico del tempo, perché Calò non l’ha preteso, il tempo, Calò l’ha amato, e il tempo si è innamorato di Calò.
Il tempo lo conquisti se ti fermi ad ascoltare il suo vento, se guardi la pioggia che cade e percepisci la sua azione nei pori della pietra, se immagini i licheni che germogliano invisibili agli occhi ma percepibili dal pensiero. Se annusi l’odore la sera che dagli aghi di pino marcisce alimentando una patina tenue, ma viva.
Così si antichizza la pietra, imparando dal tempo, curando un oggetto inerme ed eterno come fosse un soggetto, come fosse un pensiero, come fosse da sempre con te. Come fosse un soggetto che hai avuto, che poi ha i perduto e poi hai ritrovato.
